I conti deposito in oro si sono diffusi sotto varie forme, sfruttando il grande appeal offerto dall’oro, che da sempre viene considerato il “bene rifugio” per eccellenza.
Va subito però premesso che, al di là del nome con cui viene indicato, questo genere di investimento non ha praticamente nulla a che fare con la forma classica di “parcheggio” di risparmio (e relativi interessi creditori noti fin dal principio) tipica dei conti deposito.
Il deposito a cui ci si riferisce è infatti quello della custodia dell’oro sotto forma fisica nel vero senso del termine.
Principali differenze tra conto deposito in oro e conti deposito normali
I conti deposito sono molto apprezzati perché hanno un bassissimo livello di rischio, dato che i capitali versati non subiscono delle oscillazioni, ed anche il tasso di interesse è fisso.
I costi sono ad oggi tra i più bassi rispetto alle varie forme di gestione del risparmio (con le banche che ormai offrono quasi sempre conti privi di costi e commissioni), ed usufruiscono della tutela di rimborso fino a 100 mila euro previsto dal FIDT.
I conti deposito in oro invece prevedono l’acquisto di lingotti di oro, che vengono venduti direttamente dalla banca che poi si occupa anche della custodia, oppure acquistati da intermediari che poi si occupano della loro conservazione.
In ogni caso i rendimenti sono legati alle plusvalenze o minusvalenze generate dalle variazioni di quotazione dell’oro sulle piazze principali (generalmente come riferimento si prende il prezzo di Londra).
Risulta essere evidente che il rischio è molto elevato, poiché il capitale investito può deprezzarsi in funzione delle fluttuazioni dell’oro stesso. In più ci sono costi da sostenere, non sempre chiari fin da subito, che vanno dalle commissioni legate all’acquisto e alla vendita dell’oro ai diritti e le commissioni per la custodia.
I vantaggi e gli svantaggi
Ci sono sia banche italiane che società straniere che offrono questo genere di servizio. Con le prime non ci si deve fare carico anche del rischio di cambio (per gli acquisti che generalmente vengono fatti in sterline) ma vi sono logiche difficoltà legate a rapporti esclusivamente on line e con sedi in Paesi stranieri.
In più ci sono le questioni legate alla tassazione, in quanto si rientra nel regime amministrato tipico delle banche, ma bisogna inserire in dichiarazione dei redditi gli eventuali proventi. Una delle difficoltà maggiori risiede però nella difficoltà di poter quantificare fin dal principio l’entità del ritorno economico (che non è certo) e dei costi applicati, considerato che le commissioni sono generalmente calcolate in percentuale, con l’applicazione di importi minimi fissi.