Se volessimo tradurre alla lettera il suo nome potremmo chiamarlo lo «spilla interessi». Parliamo di Pinterest, il nuovo social network nato in America da meno di un anno ma che conta già oltre 10 milioni di iscritti.
Se volessimo tradurre alla lettera il suo nome potremmo chiamarlo lo «spilla interessi». Parliamo di Pinterest, il nuovo social network nato in America da meno di un anno ma che conta già oltre 10 milioni di iscritti.
È una piattaforma che consente con pochi e semplici click di creare delle lavagne, o bacheche, tematiche su cui spillare, con una puntina virtuale, tutto ciò che di interessante si vuole condividere. Ma niente testi.
Pinterest, infatti, è stato pensato per pubblicare soltanto immagini e video che possono provenire dal Web, dal proprio computer o dalle lavagne di altri utenti. Immediata è la comprensione delle funzionalità base, riprese in modo evidente dagli altri social network che già siamo abituati ad utilizzare: come su Facebook è attivo il Like e la possibilità di commentare; da Twitter deriva la distinzione tra Following e Follower, ovvero persone che seguiamo e persone che, invece, ci seguono e da LinkedIn la possibilità di mostrare le proprie competenze da un punto di vista professionale. E questo è l’aspetto più interessante: ci si può presentare in ottica social, mettendo a disposizione degli utenti due veri strumenti di marketing: le categorie, utili a distinguere la sfera personale da quella lavorativa ed il link, fondamentale per favorire ed incrementare le visite a siti personali o aziendali, al proprio blog o al profilo LinkedIn. Ogni contenuto, infatti, è sempre accompagnato dall’URL di provenienza, in modo da poterne scoprire la fonte primaria.
Se avete intenzione di sfruttare il Web per autopromuovervi, questo è sicuramente un ottimo strumento (negli Stati Uniti è stato boom visto che si è passati in 4 mesi ad avere 10 milioni di utenti e in Italia a quanto pare sta diventando sempre più conosciuto, a breve dovrebbe passare sull’iPad), un biglietto da visita multimediale e uno spazio personale dove poter investire in chiave di social branding. L’unica cosa da fare è creare un profilo interessante e a mostrarci come fare sono gli stessi utenti, americani in particolare, che per primi hanno creduto nelle potenzialità di questo social. Ecco alcune dritte da seguire:
Creare delle lavagne il più possibile settoriali;
Alternare board personali, in cui condividere hobby e passioni, a bacheche professionali;
Arricchire quotidianamente il profilo con nuovi contenuti;
Scegliere con attenzione la breve descrizione che accompagna le foto e i video che decidete di pinnare, in modo da essere trovati con facilità dal motore di ricerca interno;
Interagire con i propri Follower;
Seguire utenti che hanno i vostri stessi interessi ed aziende del settore a cui appartenete;
Pinterest, infatti, piace molto anche alle aziende, che lo sfruttano sia come puro strumento di marketing, per promuovere la propria attività e mostrare prodotti e servizi, sia come collegamento sempre aperto e diretto con il mondo dei giovani professionisti.
L’iscrizione a Pinterest è gratuita.
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Clima spiacevole, quello attuale: i più giovani faticano a trovare un lavoro, i più maturi a volte lo perdono; in entrambi i casi l’idea dell’occupazione soddisfacente, che gratifica e fa sentire realizzati, è ben lontana dalla realtà. Divisi tra frustrazione e rassegnazione, stona molto l’idea di rimettersi in gioco e provare a reinventarsi.
Dopo anni di studio o di esperienza lavorativa alle spalle, in cui in qualche modo tutti ci siamo parzialmente identificati con ciò che abbiamo appreso, ci troviamo come privati di una parte di noi: soprattutto per chi ha seguito un percorso universitario, ma anche chi ha avuto la capacità e la fortuna di svolgere un’attività in cui credeva, probabilmente ha dimenticato la linea che divide il “fare” e l’”essere” una certa figura professionale.
Logico, ogni aspetto della nostra vita contribuisce a delineare la nostra identità, specialmente quando ha caratteristiche di continuità e costanza; è questa la parte che abbatte di più, il fatto di rinunciare a qualcosa che ci definisce, o di non diventare mai quello che sentiamo di voler essere. Non facciamo finta che tutto questo disagio non ci sia: è reale e ci influenza; tuttavia, noi abbiamo sempre dei doveri verso noi stessi, se vogliamo il nostro bene
Non siamo mai fermi: l’evoluzione implica un cambiamento costante, per quanto lento. Se anche non facessimo nulla e lasciassimo scorrere gli eventi, comunque vedremmo delle differenze nel tempo: se già la natura ci modifica, forse una piccola spinta attiva da parte nostra non può che aiutare. Reinventarsi è proprio questo, non significa diventare qualcosa di diverso da quello che siamo, ma piuttosto rimettersi in gioco, puntare su aspetti di noi che abbiamo lasciato in secondo piano, cambiare prospettiva e considerare strade nuove rispetto a quelle che avevamo in mente.
Non è facile reinventarsi, vuol dire stare nel mezzo di un cambiamento, vivere il senso di perdita di qualcosa che si sta lasciando insieme all’incertezza per le novità in arrivo. Emozioni forti e contrastanti, mentre si cerca di gestirsi e scegliere una direzione.
Bisogna fermarsi un momento anche per reinventarsi, per poter riprendere il percorso: come qualcuno ha già fatto, per esempio, scegliendo una facoltà universitaria; ciò che conta è fermarsi a riflettere, chiaramente, su cosa vi piace e cosa sapete fare.
Il “piacere” è importante per la qualità di vita che si vuole: è un elemento troppo importante perché sia trascurato,e ognuno di noi dovrebbe avere il diritto di trovare qualcosa che lo appassioni e lo gratifichi; certamente ognuno di noi ha il dovere, verso se stesso, almeno di chiedersi cosa sia quel qualcosa.
Il “saper fare” è fondamentale per riproporsi: conoscere le proprie capacità, impegnarsi a svilupparne di altre, scoprire le proprie risorse, le proprie qualità nascoste e interrogarsi su quale sia il campo d’azione più indicato per ciascuna di esse. È questo il meccanismo che attiva la persona nel suo insieme e le dà la possibilità di rimettersi in gioco.
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In questa guida spieghiamo come devono essere redatte comparsa di costituzione e comparsa conclusionale.
La comparsa di costituzione.
La redazione di tale atto (il cui contenuto minimo è posto dagli articoli 125 e 167 c.p.c.) comporta la necessità di ricostruire (quanto meno per punti) il contenuto dell’ipotetico atto di citazione che ha originato la causa.
Inoltre, la difesa, in sede di comparsa di costituzione, può svolgersi sotto diversi profili
-mediante la presentazione di eccezioni di rito (quali, ad es., quelle dirette a far rilevare il difetto di un presupposto processuale);
-mediante la mera contestazione della sussistenza dei fatti costitutivi sui quali si fonda la domanda attrice;
-mediante allegazione di fatti modificativi (quale, ad es., l’adempimento parziale della prestazione), estintivi (quali, ad es., l’adempimento della obbligazione, l’avveramento della condizione risolutiva o l’intervenuta prescrizione) o impeditivi (quali, ad es., la pendenza dei termini per l’adempimento, il mancato avveramento di una condizione sospensiva ovvero l’eccezione di inadempimento);
-mediante domanda riconvenzionale, diretta a far valere autonomo diritto nei confronti dell’attore;
-mediante richiesta di chiamata in causa di un terzo, diretta ad estendere il giudizio a persona diversa dall’attore.
La comparsa conclusionale.
La redazione di tale atto deve comprendere l’esame e l’analisi degli elementi probatori acquisiti al processo, nonché le relative argomentazioni, dirette a sollecitare una pronuncia del giudice corrispondente alla domanda formulata dalla parte.
In linea generale, la comparsa conclusionale va costruita secondo lo schema ed i passaggi che un ipotetico giudice dovrebbe poi percorrere ai fini della decisione e, quindi, soffermarsi sui punti più delicati, per sostenere, fra tutte le possibili interpretazioni dei fatti, quella più favorevole alla domanda del proprio assistito.
In concreto, il difensore, in sede di comparsa conclusionale, è chiamato ad analizzare le tappe fondamentali del processo attraverso 3 ordini di operazioni logiche, tra loro strettamente connesse
-dimostrare che i fatti narrati in sede di atto introduttivo sono risultati provati all’esito dell’espletata attività istruttoria;
-sostenere che i fatti, così come provati, rientrano nella previsione normativa dedotta dalla parte;
-dimostrare che il precetto normativo, desumibile dalla suddetta previsione, è concretamente applicabile ai fatti della controversia, con la conseguenza che a quest’ultimi devono conseguire gli effetti giuridici richiesti con la domanda introduttiva. In quest’ultimo passaggio, è utile fornire un panorama dei precedenti giurisprudenziali intervenuti su casi analoghi.
Si tratta quindi che richiedono attenzione in fase di redazione.
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Risulta essere una delle professioni rese famose grazie alla tv ed anche in Italia sta iniziando a prendere piede. Ecco tutto quello che c’è da sapere per diventare cake designer: dai corsi privati alle scuole internazionali, dalla triste realtà del mercato nero, che cresce in maniera costante, ai rischi del rivolgersi a non professionisti.
È una delle professioni rese famose grazie alla tv ed anche in Italia sta iniziando a prendere piede. Ecco tutto quello che c’è da sapere per diventare cake designer: dai corsi privati alle scuole internazionali, dalla triste realtà del mercato nero, che cresce in maniera costante, ai rischi del rivolgersi a non professionisti. La sua missione è quella di trasformare un dolce qualsiasi in una vera e propria opera d’arte.cupcake
Stiamo parlando del cake designer, il decoratore di torte, cupcake e dolcetti che realizza fiori, miniature e tutti gli elementi che possono rendere un dolce attraente alla vista. Questa figura, venuta alla ribalta grazie alle trasmissioni televisive dedicate all’arte del decorare dolci, viene spesso confusa con quella del pasticcere ma le due professioni sono distinte e separate. Mentre il cake designer si occupa soltanto della parte estetica (esiste anche l’Associazione Italiana Cake Designers), il pasticcere lavora anche nelle fasi di preparazione, lavorazione e cottura dei prodotti dolciari.
Ad oggi nel nostro Paese non ci sono delle vere e proprie scuole di cake design ma sono tanti i corsi organizzati proprio da chi svolge tale mestiere. In molti casi si tratta di autodidatti che, da soli, hanno sperimentato le tecniche decorative e di modelling, fino a farne un vero lavoro. E’ il caso di Denny Napoli e Veronica Cuppari, The Sugar Family, una coppia di giovani messinesi che da circa un anno lavora come cake designer freelance per varie pasticcerie del comune siciliano. «L’amore per il cake design è nato guardando Il Boss delle torte in tv, dice Denny. È iniziato tutto per gioco: infatti la nostra prima torta non era bellissima. Con tanto impegno siamo però riusciti a migliorare e l’entusiasmo nel viso di chi vedeva i nostri lavori, ci ha spinti a trasformare la passione in qualcosa di più».
Data la crescente richiesta di dolci decorati, sono molte le pasticcerie alla ricerca di bravi decoratori. Spesso la cosa migliore per farsi conoscere è presentarsi nei laboratori e far vedere di cosa si è capaci. «Abbiamo contattato varie pasticcerie della nostra città», ci racconta Veronica «e siamo riusciti così ad ottenere le prime collaborazioni retribuite. Si tratta di prestazioni occasionali ma se ti fai apprezzare, il rapporto di collaborazione può durare nel tempo». La loro retribuzione non è fissa, ma viene concordata ogni volta con la pasticceria, in base a: ore di lavoro, tipologia di decorazione e costo dei materiali utilizzati.
C’è anche chi è disposto a lasciare tutto per seguire la propria passione, come ha fatto Roberta Gesualdo, 31 anni, romana e diplomata in pasticceria con honors presso la Cordon Bleu-California Culinary Academy di San Francisco. «Trascorrevo molto tempo in cucina – ci racconta Roberta – ma nella vita facevo tutt’altro. Mi sono laureata in economia aziendale e, dopo gli studi, ho lavorato presso Valentino S.p.A., Mediaset e tre anni in Johnson&Johnson Medical S.p.A. Poi ho deciso di dedicarmi a ciò che mi rendeva davvero felice». Roberta ha frequentato una delle scuole di pasticceria più prestigiose, in America dove il cake design ha raggiunto i livelli altissimi.
«Il mio viaggio negli Stati Uniti è stato un’esperienza incredibile, che rifarei. Ho tentato di prendere il visto per rimanere a San Francisco, ma purtroppo non è stato possibile. Ho iniziato, quindi, ad inviare curriculum ed ho avuto il piacere di lavorare nello studio di decorazione Little Venice Cake Company di Mich Turner, un guru della decorazione inglese». Ora Roberta è tornata a Roma e circa un mese fa ha aperto Finally Cakes – Roberta Gesualdo Patissiere. Le sue torte tridimensionali partono da 250€ mentre per le più semplici il prezzo viene calcolato a porzione: per 150 g si aggira sui 7€. Il mercato del cake design è quindi in forte espansione ma altrettanto velocemente cresce il numero di chi realizza dolci decorati nella propria cucina, vendendoli tramite il passa parola. Tuttavia l’assenza di competenze può essere davvero pericolosa e chi porta avanti tali attività non solo commette un illecito ma mette a rischio la salute dei proprio clienti, allettati spesso dai prezzi più bassi rispetto a quelli visti in pasticceria.
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In tema di lavoro, ormai lo saprete bene, noi siamo grandi sostenitori del “fai da te”, ovvero, dell’arte di inventarsi un’occupazione laddove non c’è. Ed è per questo che siamo sempre alla ricerca di persone che, da un giorno all’altro, o quasi, si sono improvvisate imprenditrici di se stesse e che, oggi, si possono presentare sul mercato del lavoro come professionisti del loro settore. E non potrebbe essere altrimenti visto che, tale settore, lo hanno creato da sé.
Qualsiasi sia il tipo di business intrapreso, sul prodotto o il servizio che vi sta alla base non ci sono mai dubbi, perché è, semplicemente, la grande passione di chi decide di mettersi in gioco. E anche in questo caso, la storia si ripete. Chiara, infatti, ha da sempre un grande amore per il cibo. Ma non per un cibo qualsiasi, per i prodotti genuini e di vera qualità: pasta fatta in casa, uova appena covate, formaggi freschi. Si può dire che abbia un rapporto quasi magico con il cibo e con il vino, ne odora gli aromi, ne valuta la consistenza, l’aspetto, la composizione, le piace testare nuovi abbinamenti…
Oggi Chiara fa la consulente enogastronomica, in altri termini è una food and wine personal shopper: il servizio che offre è far conoscere ai turisti che arrivano nella sua città, Verona, l’aspetto enogastronomico del territorio, attraverso tour-degustazione di vini e specialità locali. Per chi vuole fare acquisti, studia il prodotto migliore per qualità e prezzo. Laureata in Economia, fino a qualche tempo fa lavorava come quadro per una multinazionale, con un contratto a tempo indeterminato. Ma come sempre succede alle persone creative per natura – lei è anche insegnante di musica – ad un certo punto ha sentito il bisogno di cambiare la sua vita: è partita da ciò che più l’affascinava per costruirci intorno una professione su misura.
Prepararsi ha richiesto tempo e impegno perché, avendo in mente un servizio nuovo sul mercato, ha dovuto “personalizzare” anche la propria formazione. Certo, la laurea le è servita per tracciare un business plan e per effettuare ricerche di mercato, ma non bastava. In questi anni ha frequentato corsi per sommelier e di degustazione, e oggi è un’esperta degustatrice di formaggi, salumi, olio e vino. Ma non è tutto: un’offerta di questo tipo, rivolta principalmente a turisti e stranieri, richiede la presenza su web con una strategia di comunicazione curata ed efficace, per questo oggi Chiara sta lavorando al suo sito e alla presenza sui social network, l’unico modo per intercettare clienti all’estero. Il suo target, infatti, non è il mass market, oggi quasi scomparso, ma un mercato di nicchia, il turista del lusso, o comunque alla ricerca di un servizio ad hoc, che vuole differenziarsi, fare un’esperienza nuova, diversa dal solito, da raccontare. Tra i clienti avuti fino ad ora ricorda, per esempio, un tour di Amarone, pregiato vino veneto, preparato per un turista australiano: Chiara ha programmato una degustazione in diverse cantine del veronese, ognuna con il suo particolare prodotto presentato da lei.
Dopo due anni di attività, le certezze di questo mestiere sono poche ma evidenti: la prima è che questo è una professione in divenire, non standardizzata, che richiede flessibilità e sapersi adeguare a qualsiasi richiesta. E la seconda è che, quando si crea da zero un proprio business, serve anche studiare modelli alternativi, cioè inventare nuovi servizi da affiancare a quello di base. Ad esempio Chiara punta sulla formazione: dopo essersi resa conto di quanto sia importante l’approccio al cliente, tiene corsi sulle tecniche di accoglienza del turista.
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