Clima spiacevole, quello attuale: i più giovani faticano a trovare un lavoro, i più maturi a volte lo perdono; in entrambi i casi l’idea dell’occupazione soddisfacente, che gratifica e fa sentire realizzati, è ben lontana dalla realtà. Divisi tra frustrazione e rassegnazione, stona molto l’idea di rimettersi in gioco e provare a reinventarsi.
Dopo anni di studio o di esperienza lavorativa alle spalle, in cui in qualche modo tutti ci siamo parzialmente identificati con ciò che abbiamo appreso, ci troviamo come privati di una parte di noi: soprattutto per chi ha seguito un percorso universitario, ma anche chi ha avuto la capacità e la fortuna di svolgere un’attività in cui credeva, probabilmente ha dimenticato la linea che divide il “fare” e l’”essere” una certa figura professionale.
Logico, ogni aspetto della nostra vita contribuisce a delineare la nostra identità, specialmente quando ha caratteristiche di continuità e costanza; è questa la parte che abbatte di più, il fatto di rinunciare a qualcosa che ci definisce, o di non diventare mai quello che sentiamo di voler essere. Non facciamo finta che tutto questo disagio non ci sia: è reale e ci influenza; tuttavia, noi abbiamo sempre dei doveri verso noi stessi, se vogliamo il nostro bene
Non siamo mai fermi: l’evoluzione implica un cambiamento costante, per quanto lento. Se anche non facessimo nulla e lasciassimo scorrere gli eventi, comunque vedremmo delle differenze nel tempo: se già la natura ci modifica, forse una piccola spinta attiva da parte nostra non può che aiutare. Reinventarsi è proprio questo, non significa diventare qualcosa di diverso da quello che siamo, ma piuttosto rimettersi in gioco, puntare su aspetti di noi che abbiamo lasciato in secondo piano, cambiare prospettiva e considerare strade nuove rispetto a quelle che avevamo in mente.
Non è facile reinventarsi, vuol dire stare nel mezzo di un cambiamento, vivere il senso di perdita di qualcosa che si sta lasciando insieme all’incertezza per le novità in arrivo. Emozioni forti e contrastanti, mentre si cerca di gestirsi e scegliere una direzione.
Bisogna fermarsi un momento anche per reinventarsi, per poter riprendere il percorso: come qualcuno ha già fatto, per esempio, scegliendo una facoltà universitaria; ciò che conta è fermarsi a riflettere, chiaramente, su cosa vi piace e cosa sapete fare.
Il “piacere” è importante per la qualità di vita che si vuole: è un elemento troppo importante perché sia trascurato,e ognuno di noi dovrebbe avere il diritto di trovare qualcosa che lo appassioni e lo gratifichi; certamente ognuno di noi ha il dovere, verso se stesso, almeno di chiedersi cosa sia quel qualcosa.
Il “saper fare” è fondamentale per riproporsi: conoscere le proprie capacità, impegnarsi a svilupparne di altre, scoprire le proprie risorse, le proprie qualità nascoste e interrogarsi su quale sia il campo d’azione più indicato per ciascuna di esse. È questo il meccanismo che attiva la persona nel suo insieme e le dà la possibilità di rimettersi in gioco.